Hambre parla di fame, di una fame che non è ancora terminata.

Pronta la nuova annata.

Ma perché Hambre?

Il termine Hambre, Fame in spagnolo, raccoglie la fame di generazioni passate e accoglie la chiave di una nuova fame.

“Quando mio nonno materno, vedeva che, dopo la pressatura soffice, l’uva non veniva più valorizzata, ripeteva, lui insieme ad altri, la solita frase:  Voi non avete mai conosciuto la fame.”

Di fronte a una serie di operazioni che si facevano in vigna, come la vendemmia verde, e di fronte a tante scelte qualitative, nasce nella mente degli anziani questa interpretazione; resta sempre presente la convinzione che lo sviluppo tecnologico abbia solamente “peggiorato le cose”.

L’idea che nasce con Hambre è quella di reinterpretare il grechetto, bianco protagonista dell’Umbria, in una “chiave affamata”, con consapevolezza tecnica. Ritroviamo, in questa sperimentazione, la mediterraneità della polpa, espressa in Leonia, e la valorizzazione della rusticità del tannino, manifestata in Hambre.

Ma qual è la prima cosa che si nota di Hambre? Il colore ambrato.

Hambre è torchiato all’aria e l’uva, essendo di seconda pressatura al torchio, è prevalentemente buccia. È lì che si trovano le sostanze coloranti dell’uva. E una grande differenza, rispetto a un macerato che acquista il colore aranciato, orange wine, sta nel fatto che non è una macerazione a contatto con le bucce, ed è una concentrazione di colore non diluito in molta soluzione (in quanto parte della polpa andrà a costituire un altro vino, Leonia). La fermentazione è dunque liquida, senza buccia ma con le sue proprietà coloranti, diluite in meno soluzione. 

Consigli per il consumo:

Hambre è pensato per cose rustiche e caserecce (pasta e ceci, taglieri di salumi e formaggi, pane casereccio ecc.), ma, proprio per le sue caratteristiche, può anche essere un vino che si mangia da solo, essendo costituito di buccia e avendo una densità maggiore. Va quindi d’accordo con piatti che ritrovano quella sua pienezza, con la corposità del piatto; sapori che tendono più a occupare tutta la bocca, sapori rotondi, quelli che andiamo a cercare dopo una giornata di lavoro fisico, ad esempio.

Nell’annata 2020, rispetto al 2019, a causa della grandinata che ha indebolito le bucce, questa espressione è venuta un po’ meno, e Hambre ha acquisito una nuova sfumatura espressiva, molto più fruttata, perché è stato tagliato in parte con la polpa.

E l’etichetta?

Sara ci racconta:

“A novembre, sono andata nelle Asturie e, grazie a mia cugina che studia lingue, mi sono approcciata alla lingua spagnola e alle poesie di Pablo Neruda, l’Hambre del alma; ho associato in un istante la parola, suono e significato, al colore dell’ambra. Mesi dopo dovevo trovare un’immagine. Ho visitato a Parigi lo studio di un artista, Francesco, che aveva fatto un ritratto a me nel 2017. Ho visto questo quadro appoggiato in fondo, si chiamava Ambra.”

 

Quella di Hambre è una “chiave affamata” perché non c’è spreco.

C’è, piuttosto, la forte volontà di far sì che la fame e la tecnica vadano insieme.

E questa è la cosa più naturale che oggi si possa fare.

Tengo hambre de tu boca, de tu voz, de tu pelo
y por las calles voy sin nutrirme, callado,
no me sostiene el pan, el alba me desquicia,
busco el sonido líquido de tus pies en el día.

Estoy hambriento de tu risa resbalada,
de tus manos color de furioso granero,
tengo hambre de la pálida piedra de tus uñas,
quiero comer tu piel como una intacta almendra.

Quiero comer el rayo quemado en tu hermosura,
la nariz soberana del arrogante rostro,
quiero comer la sombra fugaz de tus pestañas

y hambriento vengo y voy olfateando el crepúsculo
buscándote, buscando tu corazón caliente
como un puma en la soledad de Quitratúe


Pablo Neruda

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